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La Carta di Siena 2.0 su ‘Musei e paesaggi culturali’

La Carta di Siena 2.0 su ‘Musei e paesaggi culturali’

Premessa
Il 7 luglio 2014, in occasione della Conferenza internazionale promossa in preparazione della 24a Conferenza generale di ICOM Milano 2016, fu approvata la ‘Carta di Siena su Musei e paesaggi culturali’ con l’accordo da parte di tutte le associazioni e gli enti presenti che essa sarebbe stata rivista e integrata alla luce dei suggerimenti e delle osservazioni che i partecipanti avessero desiderato proporre.
Nei due anni intercorsi, il dibattito e il confronto – nazionale e internazionale – hanno contribuito ad approfondire e a sviluppare i temi e le questioni individuati dalla Carta di Siena. Ne è scaturita una nuova versione che AMACI, AMEI, ANMLI, ANMS, Case della Memoria, ICOM, Museimpresa e SIMBDEA, aderenti alla Conferenza permanente delle Associazioni museali italiane hanno concordato di sottoporre alla XI Conferenza nazionale dei musei che si tenuta a Cagliari il 20 ottobre 2016.
Obiettivo della Conferenza era discutere la nuova Carta – denominata ‘Carta di Siena 2.0’ – e approvarne la versione definitiva, che comprende anche un importante Glossario, sottoscritta da tutte le Associazioni museali italiane come già era avvenuto nel 2005 per la Carta nazionale delle professioni museali.
La versione finale della Carta di Siena 2.0 è stata integrata con un 13° punto dedicato ai territori marginali, accogliendo una proposta emersa a Cagliari.
Le Associazioni museali italiane nell’adottare la Carta di Siena 2.0 invitano tutti i loro aderenti e i professionisti museali e del patrimonio culturale a proseguire nel dibattito e soprattutto a proporre – sulla base delle azioni e delle pratiche sviluppate a partire da essa – proposte di sviluppo delle tematiche affrontate nella Carta, riflessioni sulle criticità che ne ostacolano l’attuazione, proposte di articolazione in base alle diverse tipologie di museo coinvolte (come sul paesaggio urbano e l’archeologia discussa e approvata al termine del Workshop La città invisibile. L’archeologia urbana in Lombardia per un paesaggio culturale. Tutela, valorizzazione ed edutainment di Milano, 21-22 aprile 2016), casi di studio rilevanti.
Le Associazioni museali riunite a Cagliari ritengono anche che siano da sollecitare contributi che – alla luce delle Carta di Siena 2.0 – riesaminino l’Ottavo Ambito dell’Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei del 2001, dedicato ai rapporti fra musei e territorio.
La Conferenza, presieduta per l’anno 2017 da SIMBDEA, nel quadro della rotazione attuale dell’Associazione che la presiede, si impegna a raccogliere i materiali pervenuti (indirizzo mail?) e a renderli pubblici in forme che comunicate non appena stabilite.
Cagliari, 21 ottobre 2016
Carta di Siena su ‘musei e paesaggi culturali’ 2.0
Il paesaggio* italiano è il Paese che abitiamo e che quotidianamente ci circonda con i caratteri, le immagini e le rappresentazioni che lo identificano e lo connotano come tale.
È un paesaggio tra i più noti e celebrati del mondo per la straordinaria sintesi tra natura e storia che lo caratterizza: per questo ha attirato da sempre (e nella modernità in particolare) l’attenzione di viaggiatori e artisti che lo hanno descritto e rappresentato, generando quell’immagine – composita e multiforme – di grande fascino che, nonostante le aggressioni e gli sfregi subìti, continua a contraddistinguerlo e a farlo ammirare e amare.
Il paesaggio italiano è anche quanto le grandi trasformazioni del secolo scorso, più massicce e accelerate negli ultimi decenni, hanno prodotto in addizione e sostituzione dei suoi tratti più consolidati nel tempo. È il paese mutato e in costante mutamento di cui facciamo parte, con gli aperti conflitti e le difficili negoziazioni fra interessi e valori sovente contrastanti che ne determinano un’evoluzione distante dalla visione di armonia ed equilibrio che ne abbiamo e a cui vorremmo si conformasse la sua inevitabile trasformazione.
Del paesaggio siamo responsabili come individui e come collettività. È una responsabilità che comporta azioni e interventi per la sua protezione, conservazione, valorizzazione* in una logica partecipativa e in una prospettiva di sviluppo sostenibile*. È una responsabilità che hanno anche i musei, insieme e di concerto con tutti gli enti, le associazioni e le istituzioni coinvolte nella sua tutela e valorizzazione, raccogliendo e dando espressione, coinvolgendo e sollecitando l’apporto consapevole dei cittadini.
2. I musei italiani
I musei italiani, per numero, diffusione e valore del loro patrimonio, costituiscono una componente di rilievo del paesaggio italiano, in grande maggioranza connessi al territorio* e ai paesaggi di appartenenza.
È questo dato che caratterizza indiscutibilmente la stragrande maggioranza dei musei italiani attribuendo loro un carattere e un ruolo eminentemente territoriale, in primo luogo per la provenienza stessa delle collezioni. Nei musei sono infatti confluiti i beni emersi da scavi, quelli provenienti dagli enti ecclesiastici soppressi, quelli ricoverati nell’impossibilità di mantenerli in loco, quelli raccolti nell’ambito di ricerche sul campo o salvati dal degrado o dalla distruzione, quelli pervenuti per lascito o donazione, quelli documentali e tecnologici testimoni del progresso scientifico e industriale.
In questo modo la decontestualizzazione dei beni non ha corrisposto, ogni volta che vi sono state le condizioni, a una loro delocalizzazione e il museo italiano è dunque il depositario di testimonianze, materiali e immateriali, di un contesto* e di un territorio*, comunque di prossimità, fisica e ideale che ne costituiscono la memoria*. Questo rapporto fra territorio e museo, se non è esclusivo dei musei italiani, certamente li distingue rispetto a quelli di molti altri Paesi, sollecitandoli più di altri a estendere i loro compiti istituzionali di conservazione e comunicazione delle collezioni ai contesti di provenienza; a renderli di conseguenza responsabili anche del paesaggio di cui sono parte e a cui possono offrire il contributo di conoscenze e competenze presenti al proprio interno, essendo protagonisti attivi della sua protezione, conservazione, valorizzazione , facendosi, al tempo stesso, interpreti delle visioni e delle esigenze delle comunità che, nel tempo, hanno contribuito a creare e trasformare i territori e i paesaggi che costituiscono il loro contesto di vita e di lavoro.
3. Il patrimonio culturale italiano
I caratteri* del paesaggio italiano sono intimamente connessi alla presenza di un patrimonio culturale esteso, diffuso, denso, stratificato e inscritto nell’ambiente*. È questo che ha portato a definire, talora con un certo spirito autocelebrativo, l’Italia come un grande “museo a cielo aperto”, un “museo diffuso” grande quanto l’intero territorio nazionale, costituito dalle migliaia di beni dislocati in ogni dove, da tutto ciò che, per vincolo di legge o anche solo per comune sentire, forma “il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” di cui l’articolo 9 della Costituzione prescrive la tutela.
Questo compito, attribuito alla Repubblica, non riguarda solo lo Stato, gli enti territoriali, ma tutti i soggetti pubblici e privati a diverso titolo coinvolti nella protezione e conservazione, nell’uso e nella gestione, nella fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale. È in tutta evidenza un compito che le caratteristiche stesse – quantitative e qualitative – del patrimonio hanno reso e rendono particolarmente arduo da assolvere.
A impedirne l’attuazione è stato ed è un insufficiente investimento di risorse economiche; una cronica carenza di risorse umane; un impianto normativo non coordinato con la pianificazione territoriale e l’urbanistica prima e il governo del territorio oggi; un assetto istituzionale che non favorisce il convergere delle politiche pubbliche verso comuni obiettivi e che non ha certamente sollecitato il coinvolgimento attivo dei cittadini, visti più come destinatari passivi che non come attori delle politiche pubbliche. La sua innegabile priorità non è così riuscita a imporsi con il dovuto rilievo né presso l’opinione pubblica né presso le istituzioni che a questi compiti sono preposte e oggi lo stato del patrimonio culturale è minacciato anche dalla decrescita delle risorse pubbliche.
Le molte criticità nella gestione e cura del patrimonio culturale si riflettono inevitabilmente sulla sua qualità e integrità e segnalano l’urgenza di una svolta profonda e radicale se si ha a cuore la salvezza di entrambe.
4. Un nuovo modello di gestione del patrimonio culturale
L’Italia ha bisogno di un nuovo e diverso modello e sistema di gestione del patrimonio culturale*. È necessaria una riforma istituzionale che superi l’attuale partizione delle competenze fra Stato ed enti territoriali, che ricomponga tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale e che, in questo quadro rinnovato, preveda maggiori risorse per esso. La tutela intesa come procedimento amministrativo-autorizzativo che delega a un ente sovraordinato tempi e responsabilità dell’azione ha mostrato i propri limiti. Non c’è bisogno di più Stato, ma di uno Stato in grado di svolgere una funzione di indirizzo e di guida, superando antiche barriere e stimolando la convergenza dell’insieme delle risorse – pubbliche e private – in direzione di comuni obiettivi e di finalità e di modi di operare coesi e condivisi.
I musei possono costituire un punto di forza di un nuovo e diverso modello di gestione del patrimonio culturale in quanto presidi territoriali di tutela attiva e centri di responsabilità patrimoniale*. Molti musei sono già impegnati in quest’opera: hanno cura del patrimonio presente fuori dalle loro mura, sviluppano attività, gestiscono palazzi e chiese, siti e monumenti, partecipano al monitoraggio delle loro condizioni, ne seguono i restauri, organizzano visite e percorsi, ne promuovono la conoscenza e la comunicazione, curano l’educazione al patrimonio culturale e ambientale del loro territorio.
Le conoscenze e competenze presenti nei musei possono inoltre essere un supporto  tecnico ad ogni  azione di governo del territorio al fine di garantire consapevolezza alle attività di trasformazione  e salvaguardia dei fattori identitari del paesaggio.
Assegnare formalmente ai musei il ruolo di presidi territoriali di tutela attiva e di centri di responsabilità patrimoniale, nel quadro di accordi e intese su scala territoriale diversa, tra Stato e Regioni, consente di integrare tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali e paesaggistici, facendo perno sulla ramificata rete dei musei, ma anche degli archivi, delle biblioteche, degli istituti culturali, degli ecomusei, degli osservatori del paesaggio, di tutti i soggetti attivi nel governo del territorio, strutture e infrastrutture industriali di valore storico, architettonico e tecnologico attive, dismesse e riconvertite,  nel quadro di sistemi integrati* che prevedano la partecipazione attiva dei cittadini nella gestione di un patrimonio troppo vasto perché essa possa essere assunta dai soli enti pubblici.
5. Musei e paesaggi culturali
Coinvolgere i musei nella gestione e cura del paesaggio culturale significa sviluppare una loro naturale vocazione, estendendo la loro responsabilità dalle collezioni al patrimonio e al territorio.
Si tratta di una vocazione per lo più potenziale, in quanto impedita dall’insufficienza delle risorse, economiche e umane, e ostacolata dal quadro normativo, al punto da divenire estranea alla cultura della maggior parte degli operatori.
Al fine di svilupparla è necessario che, ovunque si presentino le condizioni, i musei divengano non solo dei presidi territoriali di tutela attiva e dei centri di responsabilità patrimoniale, ma anche dei centri di interpretazione* del territorio ampliando la propria missione, dispiegando le proprie attività nel campo aperto del patrimonio culturale e del paesaggio che li circonda e di cui possono assumere, a gradi diversi, la responsabilità.
Alla visione di un museo impegnato quasi esclusivamente nella conservazione e comunicazione delle proprie collezioni, ne va sostituita un’altra, più rispettosa della natura di un istituto che compie ricerche e produce, acquisisce, elabora e diffonde conoscenze al servizio della società e del suo sviluppo sostenibile.
Estesa al contesto in cui operano i musei, questa funzione– tanto più se integrata con quella degli archivi, delle biblioteche, degli istituti culturali – diventa una straordinaria risorsa per la salvaguardia del paesaggio e al tempo stesso una risorsa per i musei stessi che, dallo svolgimento di compiti non limitati alle proprie collezioni, possono trarre sempre nuovi stimoli per il loro incremento e per la loro valorizzazione oltre che per la crescita del proprio patrimonio di conoscenze e competenze.
6. Musei e paesaggi sociali
Nel paesaggio mobile in cui operano, i musei devono contribuire a trovare, con e per le comunità, un nuovo modo creativo di vivere insieme, proponendosi come i mediatori e gli interpreti di un nuovo senso di comunità che trova nell'istituzione museale un punto di riferimento, un attivatore di processi per nuovi modi di abitare e vivere il paesaggio.
Si tratta di cambiare i paradigmi tradizionali del museo a iniziare dal più importante: diventare un luogo aperto dove si determinano centralità inedite, snodi dove si manifestano e si incrociano i flussi delle persone, delle generazioni, delle idee, delle esperienze.    Azioni con le quali il museo contribuisce, insieme alle risorse del territorio, a connettere il centro con le periferie, a far sentire a casa chi non si riconosce nel paesaggio perché non ha potuto partecipare a formarlo né avervi delle relazioni.
7. La responsabilità del paesaggio
La responsabilità del paesaggio comporta un duplice impegno: da un lato, la gestione e cura del patrimonio nel quadro di una prospettiva di sviluppo sostenibile del territorio; dall’altro, l’attenzione alle immagini e alle rappresentazioni che identificano e connotano il paesaggio stesso e ne improntano la percezione*.
Un museo responsabile del paesaggio è dunque un museo che, in quanto centro di responsabilità patrimoniale, assume tra i suoi compiti anche la protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale, al fine di promuoverne uno sviluppo rispettoso dei propri caratteri identitari, di concerto e in collaborazione con tutti i soggetti – pubblici e privati – che a diverso titolo sono portatori di interessi nei suoi confronti.
Un museo responsabile del paesaggio assume, al tempo stesso, la natura di centro di interpretazione del patrimonio e del territorio, promuovendone la conoscenza e favorendo la consapevolezza dei suoi abitanti e di coloro che lo visitano, dei suoi tratti e valori costitutivi, sollecitandone l’intervento nel conservarli, promuoverli e arricchirli.
Un museo pienamente responsabile del paesaggio interviene su di esso per salvaguardarlo e valorizzarlo in quanto entità materiale e immateriale mettendo in campo tutte le risorse economiche, umane e intellettuali necessarie a questo scopo.
8. Una responsabilità condivisa
La vastità e complessità del compito impongono ai musei di condividere la responsabilità del paesaggio in una logica di partenariato con altri soggetti, pubblici e privati.
È un compito che può essere svolto con pieno successo se il museo coinvolge in primo luogo la propria amministrazione responsabile, se associa gli altri istituti del patrimonio, se è riconosciuto dagli enti di tutela e territoriali competenti, se opera in collaborazione con le associazioni e gli enti impegnati nella difesa del paesaggio e nella ricerca dei suoi caratteri se si rivolge anche agli enti economici e alle strutture produttive del territorio e se stimola processi di cittadinanza attiva.
Nei casi in cui l’obiettivo di concertazione e di collaborazione con tutti i portatori di interesse nei confronti del paesaggio non possa essere attuato nella sua forma più piena e completa, esso deve comunque costituire l’orizzonte delle azioni e degli interventi che, per quanto parziali, il museo assume nei suoi piani di attività.
Nel quadro di una missione ridefinita e ampliata che includa anche il paesaggio tra gli oggetti dell’attività di ricerca, conservazione, documentazione, esposizione, comunicazione e mediazione del museo, è sua responsabilità definire se e quanto esso fa per la sua salvaguardia, nel quadro di una prospettiva di sviluppo sostenibile.
9. Paesaggio e sviluppo sostenibile
Il paesaggio, per sua natura, è in costante evoluzione e mutamento e non può essere congelato e museificato. Proteggerlo, salvaguardarlo e valorizzarlo significa impedire che le sue trasformazioni ne cancellino, deturpino, degradino i caratteri costitutivi.
Questo obiettivo può essere ragionevolmente raggiunto se gli elementi identificativi di un paesaggio sono conosciuti e condivisi da parte di tutti gli attori responsabili nella gestione e nello sviluppo del territorio, se lo sviluppo del territorio ne assicura la conservazione e il mantenimento combinando, in armonia con le aspirazioni delle popolazioni, adeguate misure di salvaguardia, con le esigenze di trasformazione poste dai processi di sviluppo.
I musei possono offrire un significativo apporto a un governo del territorio rispettoso dei valori del paesaggio attraverso progetti ed attività mirati di conoscenza del territorio di appartenenza e del suo patrimonio; grazie all’attività svolta rispetto al patrimonio culturale presente dentro e fuori dalle loro mura; in forza di una partecipazione attiva ai processi di pianificazione territoriale e urbanistica e di definizione e attuazione delle politiche paesaggistiche.
10. Territori e paesaggi marginali
La proiezione del museo sul territorio, con la necessità interpretativa che ne deriva, impongono una apertura di campo rispetto a cui la nozione di ‘sviluppo sostenibile’ si scontra con il suo limite, con la presunzione di una linearità storica frantumata dalla nuova fisionomia dei territori e della perifericità nel mondo globale. Così come la parabola storica dello ‘sviluppo’ ha reso necessaria la riflessione sulla sostenibilità, allo stesso modo oggi l'idea di sviluppo sostenibile si trova a doversi confrontare anche con le parti di territorio e di storia sacrificate dallo sviluppo e dalla sostenibilità, e precipitate nel dissolvimento antropico e nell'oblio sociale. Questa condizione estrema, e tuttavia oltremodo estesa, rende ancora più evidente la giustezza della prospettiva di una territorializzazione della funzione museale, l'urgenza di definire adeguati protocolli, professionalità e complementarietà professionali in grado di affrontare le problematiche degli abitati abbandonati, delle aree depresse, delle zone minerarie, delle aree deindustrializzate, urbane e rurali, delle presenze migranti e soprattutto delle aree in tracollo demografico.
11. Comunità di paesaggio
I musei devono farsi interpreti e favorire la crescita di “comunità di paesaggio” consapevoli dei valori del territorio e paesaggio, coinvolte nella sua salvaguardia, partecipi del suo sviluppo sostenibile.
Nella loro grande varietà di forme e dimensioni i musei e gli istituti similari (siti e parchi archeologici, complessi monumentali e altri luoghi della cultura, ecomusei e i centri d’interpretazione territoriale e ambientale…) che assumono una responsabilità nei confronti del paesaggio culturale, possono diventare un riferimento o favorire la nascita e il rafforzamento delle “comunità di paesaggio”.
Realizzano questi obiettivi attraverso la loro attività ordinaria di studio e ricerca, il rapporto con i visitatori e gli utenti, le azioni educative, l’informazione e promozione, la conoscenza delle aspirazioni che la comunità ha nei confronti del paesaggio e dell’ambiente, sia la stessa cura e gestione del patrimonio culturale, sia attraverso iniziative mirate a sviluppare la partecipazione attiva.
I musei devono dunque conoscere e intrattenere un dialogo continuo con le “comunità di paesaggio” attive nel territorio e protagoniste di “buone pratiche” d’uso e interpretazione del paesaggio, favorirne lo sviluppo e l’ampliamento e, di concerto con esse, sviluppare programmi partecipati e sostenibili.
Solo una rete di comunità di paesaggio estese, diffuse e attive, consente infatti di realizzare una valida salvaguardia del paesaggio stesso.
12.Una visione interculturale del paesaggio
La Convenzione europea del paesaggio contiene una definizione condivisa di paesaggio; per una sua visione interculturale è opportuno tener presente che, da Paese a Paese, mutano non solo i paesaggi culturali ma anche il modo di concepirli e che è pertanto necessario porsi in dialogo con le molteplici visioni presenti nel mondo.
È necessario: per essere sempre più consapevoli della concezione di paesaggio di cui siamo portatori nel momento in cui il museo la trasmette attraverso le sue attività; per rivolgerci a pubblici sempre più eterogenei per provenienza e cultura; per entrare in rapporto con essi e stabilire un ponte tra visioni che possono essere molto distanti, ma che devono poter dialogare, confrontarsi, comprendersi.
Adottare un approccio dichiaratamente interculturale consente di accogliere inedite visioni del nostro stesso paesaggio, arricchendolo di nuovi e diversi valori e potenziando la nostra capacità di percepirlo e considerarlo.
13. Il paesaggio è il presente
Il paesaggio è il presente, così come lo percepiamo: è il contesto entro cui si svolge la nostra vita quotidiana, un complesso di luoghi che ci sono familiari innanzitutto perché li abitiamo e ne siamo parte. Se anche tutto è paesaggio alcuni dei suoi elementi non sono affatto meritevoli di essere trasmessi. Anzi: nei loro confronti abbiamo il dovere di esercitare la nostra critica civile e di meditare su quanto va cambiato, quanto va innovato e quanto merita di continuare a essere o entrare a far parte del patrimonio culturale.
Se, come propone la Convenzione di Faro del 2005, questo compito è affidato alla ‘gente’, ai musei che, per definizione “operano al servizio della società e del suo sviluppo”, è necessario farsi interpreti delle ‘comunità patrimoniali’, mettendo al loro servizio competenze e conoscenze, spazi e risorse.
I musei non devono limitarsi a trasmettere un patrimonio ricevuto, ma ricercare al loro esterno, e quindi nel paesaggio e nel presente, quanto merita di essere protetto, conservato, salvaguardato perché, nell’esprimere “valori, credenze, saperi e tradizioni”, costituisce una risorsa per il futuro.
Le parole con asterisco* rinviano al Glossario.
GLOSSARIO*
Ambiente
Sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici (Codice dell’ambiente italiano).
In ecologia si definisce ambiente l’insieme dei fattori esterni a un organismo che ne influenzano la vita. Il termine viene anche inteso, in senso più ampio, come il complesso degli elementi naturali (la flora, la fauna, il paesaggio) e delle risorse che circondano un determinato organismo e, in particolare, gli esseri umani. […]
“Ambiente” si configura come un complesso attivo di elementi che si muovono in un contesto comune, che si influenzano reciprocamente. Non è solo un insieme di fatti (gli elementi che lo compongono), ma anche luogo di atti (le dinamiche che tra questi stessi elementi intercorrono). […]
L’ambiente è più un luogo di modificazioni e di processi storici, che non una questione di essenze e di concetti in cui vivono l’una accanto all’altra natura e cultura. Nel Vocabolario della Lingua Italiana dell’Enciclopedia Treccani (1986), ambiente è definito “la natura, come luogo più o meno circoscritto in cui si svolge la vita dell’uomo, degli animali, delle piante, con i suoi aspetti di paesaggio, le sue risorse, i suoi equilibri, considerata sia in sé stessa sia nelle trasformazioni operate dall’uomo e nei nuovi equilibri che ne sono risultati, e come patrimonio da conservare proteggendolo dalla distruzione, dalla degradazione, dall’inquinamento”. […] (FAI, brani tratti dalla definizione di Ambiente).
Caratteri
Nel senso proposto da Marc Bloch e dalla scuola delle Annales come elementi di originalità di un tempo e di un spazio, in cui “i caratteri materiali non sono che il segno visibile di realtà sociali profonde” (BLOCH 1931), tenendo anche conto del Landscape Character Assessment (LCA), una metodologia per identificare, descrivere, classificare e mappare quanto è distintivo di un paesaggio. La Convenzione europea (FIRENZE 2000) anziché ‘caratteri’ adotta il termine ‘caratteristiche’, ma il dizionario Treccani dei sinonimi e contrari ci avverte che “se riferito a un segno distintivo (anche per cose o situazioni), c. è sinonimo di caratteristica” e che similmente si parla di attributo, connotato (limitato per lo più a caratteristiche esteriori, fisiche) … di connotazione (limitato per lo più a caratteristiche interiori oppure stilistiche, sfumature e sim.) … di particolarità e peculiarità (per caratteristiche fuori dall’ordinario o quantomeno limitate a ciò di cui si sta parlando), proprietà, qualità, requisito, tratto”.
Centro di responsabilità patrimoniale
Nella versione finale della Carta di Siena del 2014 è stato introdotto il concetto di “centro di responsabilità patrimoniale”, accostandolo a quello di “presidio territoriale di tutela attiva” per rendere più esplicita, anche alla luce della Convenzione di Faro, una funzione del museo non limitata ai soli beni “museali”, tradizionalmente mobili e materiali, ma estesa all’intero patrimonio, materiale e immateriale e dunque anche al paesaggio. Si è tenuto conto, in questo, del lungo dibattito sviluppatosi all’interno dell’ICOFOM sull’estensione del concetto di “oggetto museale”. Esso ha visto opporsi una concezione restrittiva per cui esso corrisponde solo ai “musealia” e cioè agli oggetti facenti parte della collezione di un museo (Concetti chiave per la museologia, 2016), e una concezione estensiva che ha proposto di ampliare il campo della museologia all’intero ambito del patrimonio culturale e naturale, considerando oggetto museologico “ogni elemento appartenente al regno della natura e della cultura materiale considerato degno di essere conservato in situ o ex situ o attraverso una sua documentazione”. È sembrato opportuno, proprio in ragione dell’assenza di riferimenti ai beni immateriali nel Codice dei beni culturali, fare riferimento a un nuovo concetto: quello di bene o oggetto ‘patrimoniale’, inteso come unità minima del patrimonio culturale. Un concetto che si applica, oltre ai beni culturali e ai beni paesaggistici, ai beni immateriali in linea invece con la definizione di patrimonio culturale proposta dalla Convenzione di Faro 2005.
Rispetto alla tradizione italiana, corrisponde alla volontà di assumere, innovandola rispetto al concetto di nazione, l’intera Dichiarazione I della Commissione Franceschini, il cui primo comma recitava: “Appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i Beni aventi riferimento alla storia della civiltà”, attribuendo la qualità di “testimonianza materiale avente valore di civiltà” ai beni “assoggettati alla legge”.
Comunità di paesaggio | Comunità patrimoniale
L’espressione, proposta da Luisa Bonesio (Bonesio 2003), è stata qui utilizzata con esplicito riferimento alla nozione di “comunità patrimoniale” introdotta dalla Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (Faro 2005): “una comunità patrimoniale è costituita da un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future”.
Contesto
In campo museale il termine è utilizzato soprattutto per indicare il contesto (fisico, storico, concettuale) dei beni conservati, ma anche il contesto “espografico” (neologismo proposto da André Desvallées nel 1993 a complemento del termine “museografico” per designare la messa in mostra e in spazio nell’esposizione) in cui essi sono collocati, rinviando all’opposizione di base tra collocazione in situ e ex situ (in questo caso “in museo”).
Come attore di politiche patrimoniali, il museo opera delocalizzando e rilocalizzando beni materiali che, nel passaggio dal loro contesto di provenienza a quello museale, perdono e acquisiscono valori e significati, affidando al museo il compito di ricercarli, conservarli e comunicarli.
Ma la critica al museo fondata sulla natura delle sue modalità di patrimonializzazione rischia di equiparare l’opera di de- e ri-localizzazione con quella di de- e ri-contestualizzazione, quasi che la conservazione in situ, pur mantenendo i beni nella loro collocazione spaziale, non determinasse comunque una loro de- e ri- contestualizzazione nel momento stesso in cui li trasforma in beni “culturali”.
Più in generale il contesto – che sembra il termine italiano più adatto a tradurre l’inglese environment e il francese environnement) - di cui sono parte e in cui si collocano i musei è: spaziale, corrispondente al territorio geografico, di prossimità e non, in cui essi sono collocati; temporale, coincidente con il periodo storico in cui essi operano; sociale, legato alla società di cui sono espressione e prodotto; economico, perché i musei producono e consumano beni economici; ideologico, perché essi sono espressione e strumento delle rappresentazioni e dei valori contemporanei; politico, determinato dal potere o dai poteri da cui i musei dipendono; culturale, in quanto i musei sono istituti che producono e diffondono cultura; patrimoniale, perché la loro finalità e funzione è specificatamente connessa alla tutela e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale.
La relazione fra il museo e il suo contesto è espressione di una dialettica complessa, influenzata anche dalla natura e dalle caratteristiche delle sue collezioni che, nella sua forma più semplice, ha un orientamento bidirezionale: va dal contesto al museo e dal museo al contesto. In altri termini, il museo riceve e dà, prende e restituisce, assorbe e rilascia, dando luogo a uno scambio complesso tra beni e valori che ne definiscono il ruolo e la funzione, diverse nel tempo e nello spazio, connotandolo differentemente a seconda delle molteplici relazioni che stabilisce con il contesto spaziale, temporale, sociale, economico, ideologico, politico, culturale e patrimoniale.
Identità
L’identità del paesaggio italiano è intimamente connessa alla speciale natura di un patrimonio culturale esteso, diffuso, denso, stratificato e inscritto nell’ambiente come pochi altri al mondo. È questo a fare dell’Italia un grande “museo a cielo aperto”, un “museo diffuso” grande quanto l’intero territorio nazionale, costituito dalle migliaia e migliaia di beni dislocati in ogni dove che, per vincolo di legge o anche solo per comune sentire, formano “il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” di cui l’articolo 9 della Costituzione prescrive la tutela. (Carta del Paesaggio di Siena)
Abita veramente un luogo solo colui il quale non lo sente come qualcosa di cui disporre, e neppure come una cornice casuale di cui potrebbe disfarsi, ma come qualcosa di essenziale alla definizione della propria stessa identità, qualcosa che va salvaguardato non come strumento di sopravvivenza ma come parte di noi stessi. (Paolo D’Angelo, “Filosofia del paesaggio”)
L’integrazione del patrimonio culturale con gli usi, i costumi, l’economia dei territori diviene, attraverso il paesaggio, immediatamente percepibile e quindi riconoscibile dall’osservatore, fornendo un significativo apporto alla comprensione delle identità.
Interpretazione
Sulla scorta della definizione di Freeman Tilden (1957), che per primo la elaborò nel campo dell’educazione non formale, l’interpretazione si è configurata come un’attività educativa che mira a fornire nuovi punti di vista, a rivelare “significati e interrelazioni” tramite l’impiego di strumenti non convenzionali ed esperienze dirette che coinvolgono la persona. L’interpretazione rivela quello che altrimenti sarebbe difficile a vedere, differenziandosi dalla semplice informazione o comunicazione dei fatti; promuove scambi tra conoscenze esperte e vissuti personali, contribuendo alla co-costruzione di valori e significati condivisi.
Interpretare il paesaggio (come ogni bene patrimoniale) richiede la partecipazione da parte di coloro (singoli e comunità) che lo vivono e lo agiscono, ricomponendo i processi di trasformazione, individuando gli elementi costitutivi dell’essere contemporaneo, attualizzando la sua fisionomia culturale, nella relazione mobile e mutevole tra abitanti e spazi.
Dalla riflessione pluridisciplinare sul tema si possono desumere principi validi per l’azione del museo: “la libertà di interpretazione è una parte importante della libertà di pensiero, dato che l'interpretazione è una parte importante del pensiero.” (Volli 2008). Per questo motivo è importante che l’interpretazione trovi la prima legittimazione nell’autorevolezza del museo e nell’evidenza dei suoi metodi.
Memoria
Il paesaggio culturale può essere considerato il luogo della sedimentazione delle memorie personali e collettive che contribuiscono alla costruzione delle identità dei luoghi e delle comunità.
“Le memorie individuali, leggere ed effimere, si sovrappongono alle memorie collettive, più solide e durature, che si legano intimamente alla storia della società e ai suoi topoi significativi, che sono come stazioni territoriali della sua vicenda, della sua affermazione sul territorio” (Turri 2006).
Ma come la memoria personale è un processo selettivo nel quale alcuni ricordi sono rimossi, allo stesso modo le tracce della memoria collettiva dei luoghi possono essere cancellate, se considerate inutili, scomode o imbarazzanti. Così è, ad esempio, nei parchi realizzati a Berlino per nascondere le torri contraeree (Flaktürme), parzialmente interrate con le macerie dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. Per Turri la distruzione del paesaggio agrario avvenuta tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento è leggibile come una forma di rimozione delle sofferenze ataviche della civiltà contadina.
Poiché il flusso del vissuto avviene nella materialità dei luoghi che ne sono il “teatro” (Turri) e che essi concorrono a dare forma a tale vissuto, la memoria collettiva è legata ad un proprio immaginario paesaggistico. Il paesaggio è, per Raffestin, l’omaggio spirituale reso dall’intelletto al territorio.
Si può affermare che il paesaggio nasca dalla continua interazione tra memoria e materia; un’interazione in cui la memoria trasforma la materia in senso. E anche che il paesaggio sia un “oggetto-memoria” in cui “la storia si trova inscritta non meno che nei nostri oggetti e nelle nostre carte”, come ha scritto Mathilde Bellaigue (Bellaigue 1990)
Paesaggio | Paesaggio culturale
La nozione di “paesaggio” cui si ispira la Carta è in primo luogo quella contenuta nella Convenzione europea del paesaggio (Firenze 2000): “Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.”
La nozione di “paesaggio culturale”, fa riferimento a quella adottata nel 1992 dal Comitato del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO come: “opera combinata della natura e dell'uomo … illustrativa dell'evoluzione della società umana e di adattamento nel corso del tempo, sotto l'influenza dei vincoli fisici e/o delle opportunità offerte dal loro ambiente naturale e delle forze sociali, economiche e culturali successive, sia esterne che interne”. L’UNESCO individua tre categorie di paesaggi culturali: (i) un paesaggio progettato e creato intenzionalmente dall'uomo"; (ii) un paesaggio organicamente evoluto che può essere un ‘paesaggio relitto (o fossile)’ o un ‘paesaggio continuo’; (iii) un ‘paesaggio culturale associativo’ che può essere apprezzato per le ‘associazioni religiose, artistiche o culturali dell'elemento naturale”.
Il paesaggio organicamente evoluto ha sviluppato la sua forma attuale “in associazione con” e “in risposta al” suo ambiente naturale. Nel paesaggio ‘relitto’ o fossile, il processo evolutivo si è concluso in un momento qualsiasi del passato (si pensi al paesaggio archeologico), mentre nel paesaggio in trasformazione continua il processo evolutivo, legato allo stile di vita tradizionale, è ancora in corso.
Nel “paesaggio culturale associativo” le testimonianze culturali materiali possono essere insignificanti o anche assenti. Si tratta di una categoria “creata precisamente per dare la libertà di pensare “paesaggi di idee”, un concetto […] entro il quale riconoscere che accanto al mondo delle cose ci sono mondi di idee che provengono da tradizioni orali, folklore, arte, danza e musica e pensatori, narratori, scrittori e poeti”. (P.J. Fowler, World Heritage Cultural Landscapes 1992-2002: a Review and Prospect, in “Word Heritage Papers 7”, Paris: UNESCO World Heritage Centre 2003). È una categoria adatta alle culture, dove la relazione simbolica e fisica con la terra è inseparabile dalla religione e dalla cosmogonia.
Nell’accogliere la nozione UNESCO si è tenuto conto anche delle pur non vincolanti considerazioni introduttive presenti nella Guida pratica (UNESCO 2009): “Il paesaggio è sia un modo di vedere l’ambiente che ci circonda, sia l’ambiente stesso. L’interesse del concetto di paesaggio sta nel fatto che unifica i fattori all’opera nella nostra relazione con l’ambiente circostante. I paesaggi, con valore estetico o no, costituiscono il quadro della nostra vita quotidiana; sono familiari e il concetto di paesaggio collega l’umanità alla natura, riconoscendo la sua interazione con l’ambiente. La nozione stessa di paesaggio è altamente culturale e può sembrare superfluo parlare di paesaggi culturali; ma la qualificazione ‘culturale’ è stata aggiunta per esprimere l'interazione umana con l'ambiente e la presenza di valori culturali materiali e immateriali nel paesaggio”. (World Heritage Cultural Landscapes. A Handbook for Conservation and Management, Nora Mitchell, Mechtild Rössler, Pierre-Marie Tricaud (Authors/Ed.) UNESCO World Heritage Centre, November 2009).
Il nostro paesaggio è un paesaggio culturale, cioè un paesaggio nel quale i dati naturali, la conformazione fisica, l’idrografia, la flora entrano continuamente in rapporto con l’opera dell’uomo, e così si caricano di memorie e significati. […]
Il paesaggio è storico anche perché è sempre visto attraverso gli occhi dell’osservatore, che non sono mai innocenti ma condizionati da un gusto, una poetica, un’idea di ciò che il paesaggio deve essere, che porta letteralmente a non vedere alcune cose a beneficio di altre.
(Paolo D’Angelo, “Filosofia del paesaggio”)
Partecipazione
Il dibattito museologico e museografico italiano non ha dato, sino a tempi relativamente recenti, lo stesso rilievo al ruolo della partecipazione nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale: mentre in altri paesi, come la Francia, nascevano gli ecomusei, in Italia si proponeva l’idea del museo diffuso, fondato più sull’estensione dell’azione museale al territorio che non al coinvolgimento attivo della popolazione.
Lo sviluppo degli ecomusei, a partire dalla fine degli anni Novanta, ha posto in primo piano la dimensione partecipativa delle pratiche di valorizzazione e tutela, ma quando si è trattato di introdurre nel Codice dei beni culturali il principio della partecipazione dei cittadini, vi è stato un netto rifiuto di coinvolgerli nella tutela e, per quanto riguarda la valorizzazione, la formula recepita – “La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale” – al di là della traduzione di ‘cittadini’ in ‘soggetti privati, singoli e associati’ depotenzia il loro ruolo, ponendola a carico della ‘repubblica’ che si limita a ‘favorirla e sostenerla’.
Evidente, sul piano teorico, nell’individuazione dei paesaggi prevista dalla Convenzione europea del paesaggio (Firenze 2000), assume un ruolo centrale nella Convenzione di Faro (Faro 2005) che vede nelle “comunità patrimoniali” gli attori stessi dei processi di patrimonializzazione, pur imponendo che la loro azione si svolga in un quadro pubblico.
È il più esplicito e chiaro ribaltamento di una logica che pone la partecipazione al seguito dell’azione pubblico, in una posizione subalterna frutto di un paternalismo prudente e sospettoso nei confronti dei cittadini.
È infatti nella tutela che la partecipazione potrà trovare un importante spazio di azione superando l’impalcatura giuridica del concetto di dichiarazione o attestazione d’interesse culturale, per giungere al riconoscimento condiviso del patrimonio e a una naturale condotta sociale di salvaguardia* dei caratteri* del paesaggio culturale di riferimento.
Se posta a fondamento delle politiche patrimoniali, la partecipazione non è più solo una forma di coinvolgimento dei cittadini, ma un’azione che le Istituzioni devono conoscere, rispettare, tradurre in iniziative, ponendosi in un ruolo di ascolto delle istanze della popolazione, di mediazione e interpretazione, alla luce del patrimonio di conoscenze e competenze che le caratterizza, favorendone la traduzione in politiche, fondate sulle capacità di intervento che esse possono assicurare.
Questa rivoluzione copernicana nell’individuazione, protezione, valorizzazione del patrimonio culturale, è lontana dalla cultura politica e professionale del nostro Paese e la sua affermazione costituisce un obiettivo da perseguire a tutti i livelli in cui può trovare applicazione.
Percezione
La Convenzione Europea sul Paesaggio (2000) dichiara che “paesaggio designa una determinata parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni” (art.1). La nozione di percezione ha evidentemente un valore culturale, ed è dunque da intendersi come “visione”. Al di là della percezione di tipo biologico, infatti, l’occhio umano "guarda" il mondo e, mentre lo osserva, lo vede “in situazione”. Il soggetto riflette sempre se stesso nelle immagini còlte dallo sguardo e immette quelle stesse immagini nella rete di significati rappresentata dalla cultura. La percezione che i gruppi umani hanno del territorio in cui abitano è determinata dalle complesse relazioni culturali in cui le popolazioni e gli individui sono imbrigliati. E origina dalle azioni e dalle pratiche finalizzate alla produzione della località e alla socializzazione dello spazio. 
Patrimonio culturale
La nozione di patrimonio culturale a cui si fa riferimento, pur tenendo conto della definizione presente nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (“Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici”), è quella proposta dalla Convenzione di Faro: “il patrimonio culturale è un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Essa comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato”.
Non molto diversa è quella recentemente proposta nella Raccomandazione riguardante la protezione e la promozione dei musei e delle collezioni, la loro diversità e il loro ruolo nella società (UNESCO 2015): “per patrimonio culturale si intende un insieme di valori materiali e immateriali, e le espressioni che le popolazioni selezionano e identificano, in modo indipendente dalla loro proprietà, come riflesso ed espressione delle loro identità, credenze, conoscenze e tradizioni, e di ambienti viventi, meritevoli di tutela e valorizzazione da parte delle generazioni contemporanee e da trasmettere alle generazioni future. Il termine patrimonio culturale si riferisce anche alle definizioni di patrimonio culturale e naturale, materiale e immateriale, e di beni culturali, incluse nelle Convenzioni Culturali dell’UNESCO”.
Protezione | Conservazione | Valorizzazione
La nozione integrata di “protezione, conservazione, valorizzazione” utilizzata nella Carta, è stata preferita a quella di “tutela e valorizzazione”, propria della tradizione giuridica italiana e presente nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, con riferimento al significato che ne dà la Convenzione sulla protezione sul piano mondiale del patrimonio culturale e naturale dell’UNESCO del 1972: “Per garantire una protezione e una conservazione le più efficaci possibili e una valorizzazione la più attiva possibile del patrimonio culturale e naturale situato sul loro territorio, gli Stati partecipi della presente Convenzione, nelle condizioni appropriate a ogni Paese, si sforzano quanto possibile:
a.         di adottare una politica generale intesa ad assegnare una funzione al patrimonio culturale e naturale nella vita collettiva e a integrare la protezione di questo patrimonio nei programmi di pianificazione generale;
b.         di istituire sul loro territorio, in quanto non ne esistano ancora, uno o più servizi di protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale, dotati di personale appropriato, provvisto dei mezzi necessari per adempiere i compiti che gli incombono;
c.         di sviluppare gli studi e le ricerche scientifiche e tecniche e perfezionare i metodi di intervento che permettono a uno Stato di far fronte ai pericoli che minacciano il proprio patrimonio culturale o naturale;
d.         di prendere i provvedimenti giuridici, scientifici, tecnici, amministrativi e finanziari adeguati per l’identificazione, protezione, conservazione, valorizzazione e rianimazione di questo patrimonio;
e.         di favorire l’istituzione o lo sviluppo di centri nazionali o regionali di formazione nel campo della protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale e promuovere la ricerca scientifica in questo campo”.
Salvaguardia
Laddove il riferimento ai concetti di “protezione, conservazione e valorizzazione” aveva un più diretto riferimento al patrimonio immateriale, ci si è rifatti al più pertinente concetto di “salvaguardia” introdotto dalla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (UNESCO 2003): “Per “salvaguardia” s’intendono le misure volte a garantire la vitalità del patrimonio culturale immateriale, ivi compresa l’identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione, in particolare attraverso un’educazione formale e informale, come pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale patrimonio culturale.”
Se riferita al paesaggio, “salvaguardia” indica “le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d’intervento umano.”
Sistema integrato
Per sistema integrato s’intende un sistema territoriale che integri enti e istituti indipendentemente dalla loro proprietà e dalla loro specifica natura, istituendo, attraverso l’associazione di musei, archivi, biblioteche, ecomusei, osservatori del paesaggi... un contesto di carattere pubblico entro cui la protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale si sviluppi promuovendo e valorizzando le istanze e le azioni delle comunità patrimoniali presenti al suo interno.
Sostenibilità Culturale
Possiamo parlare di sostenibilità culturale quando le azioni o le strategie adottate nella gestione del patrimonio fanno leva su “risorse” che non compromettono l’utilizzo futuro del territorio dal punto di vista culturale. Un progetto culturale è dunque sostenibile nella misura in cui prevede l'analisi e la ricomposizione delle diverse soggettività locali in rapporto alle personali esperienze e storia di vita, quando riconnette, nel suo darsi, le diverse generazioni presenti su un territorio e garantisce la futura fruizione delle “cose” che i padri/nonni hanno vissuto e fruito. Sostenibilità culturale è costruzione partecipata di una visione (etica) dello stare assieme su un territorio e di percepirlo tra passato e futuro.
Territorio
Nell’uso proprio del linguaggio geografico e di varie scienze umane, il concetto di territorio si distingue da quello di ambiente in quanto implica una precisa delimitazione dell’area di riferimento, di pertinenza di un soggetto definito, che la informa in maniera tipica e riconoscibile, rendendola territorio. Quest’azione è definita processo di territorializzazione ed è costantemente in fieri.
La presenza dell’uomo in un territorio carica di valori, di memoria e di significato le singole componenti e l’insieme di quell’ambito spaziale e per questo il concetto di territorio è fortemente connesso al concetto di identità. Il paesaggio culturale è l’esito immediatamente percepibile del processo di territorializzazione. Al modificarsi del secondo corrisponde il modificarsi del primo; quindi, il paesaggio culturale è il risultato visibile dell'azione dell'uomo sul territorio (elaborazione della voce Territorio, Treccani).
Il termine territorio è qui assunto come la dimensione materiale e tangibile di un paesaggio, come spazio geografico “frutto delle relazioni (concrete o astratte) tra uomo e ambiente in un contesto tridimensionale società – spazio – tempo” caratterizzato dalla presenza di elementi, combinati tra loro, di: “altitudine, atmosfera, bacini d'acqua dolce, coste, mari/oceani, morfologia, caratteristiche del suolo, rocce, terremoti, attività vulcanica (elementi ecologici) copertura vegetale, fauna (elementi biologici) l’uomo e le sue opere (elementi antropologici)” (Raffestin 1981). Va anche reso atto che “il territorio non esiste in natura”, ma è un “soggetto vivente ad alta complessità”, prodotto dall’interazione di lunga durata tra insediamento umano ed ambiente, ciclicamente trasformato dal succedersi delle civilizzazioni e al tempo stesso l’esito di un “processo di territorializzazione”, della capacità di strutturazione simbolica dello spazio, consentendo il riconoscimento di una correlazione fra luogo fisico e spazio culturale, simbolico, economico della società insediata (Magnaghi 2000).
Entrare in rapporto con il territorio significa, per un museo, instaurare rapporti con coloro (singoli o gruppi) che in quel luogo sono portatori di interessi condivisibili, anche in riferimento ai tipi di pubblici che quel luogo offre o ai quali il museo intende rivolgersi.
Gli istituti museali che, indipendentemente dall’appartenenza giuridica e dalla dimensione, ospitano collezioni provenienti dal territorio vicinoro assumono in molti casi l’inevitabile funzione di centri di interpretazione del territorio stesso (dal DM 10/5/2001 “Atto di indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei”, Ambito VIII).
Sostenibilità culturale
Parafrasando la definizione di “sostenibilità” introdotta nel 1987 dalla World Commission on Environment and Development (Our Common future. The Bruntland Report, Oxford University Press), possiamo parlare di “sostenibilità culturale” quando le azioni o le strategie adottate nella gestione del patrimonio soddisfano i bisogni del presente senza compromettere la fruizione dei beni culturali e naturali per le future generazioni. Sostenibilità culturale è dunque costruzione partecipata di una visione (etica) dello stare assieme su un territorio e di percepirlo tra passato e futuro. Un progetto è “sostenibile” da un punto di vista socio-culturale nella misura in cui prevede l'analisi e la ricomposizione delle diverse soggettività locali in rapporto alle personali esperienze e storia di vita, quando riconnette, nel suo darsi, le diverse generazioni presenti su un territorio e garantisce la futura fruizione delle “cose” che i padri/nonni hanno vissuto e fruito (Cfr. A. Simonicca, “Economia sostenibile, comunità culturali e isole”, in Viaggi e comunità. Prospettive antropologiche, Roma, Meltemi, 2006).
Sostenibilità culturale e sostenibilità economica non sono incompatibili e il ruolo di mediazione che il museo può assumere nella prospettiva dello sviluppo locale  va esattamente nella direzione di una loro coniugabilità. L’importanza del ruolo del museo in tali processi è stato di recente segnalato dalla Raccomandazione sulla protezione e promozione dei musei e delle collezioni, della loro diversità e del loro ruolo nella società, approvata dalla Conferenza generale dell’UNESCO il 17 novembre 2015, per la quale i musei, in quanto strumento di salvaguardia del patrimonio culturale materiale e immateriale, mobile e immobile, svolgono nella società contemporanea un ruolo fondamentale nella promozione dello sviluppo sostenibile e del dialogo interculturale, offrono opportunità per la ricerca e per l’educazione formale e informale, sono un importante stimolo per la creatività e contribuiscono allo sviluppo sociale e umano nel mondo.
Tutela
Il termine ‘tutela’ è stato utilizzato con esplicito riferimento alla sua nozione giuridica, definita dal Codice dei beni culturali e del paesaggio come “l’esercizio delle funzioni e [nel]la disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione” e non nel suo senso più lato di “cura” come peraltro indicato nel concetto di conservazione espresso  dalla Raccomandazione UNESCO sui Musei (2015) che nella “preventive and remedial conservation”   ristabilisce il rapporto tra la materia dei beni e il contesto ambientale, rinviando alla necessità di operare non in modo puntuale sul singolo bene ma in relazione alla totalità del patrimonio.
Tutela attiva
Il concetto di tutela attiva è già presente nei dibattiti degli anni Ottanta sulla spinta delle complesse, e quanto mai attuali, elaborazioni teoriche di Giovanni Urbani (direttore dell’ISCR tra 1973-1983) che affronta la questione non più riferendosi ai singoli beni da tutelare ma alla totalità del patrimonio in relazione all’inscindibile rapporto con il contesto ambientale. Tutelare quindi in primis la materia dei beni per evitarne l’inevitabile deterioramento in una logica di “conservazione programmata”, per poi operare con azioni che possono rafforzare il patrimonio sia come “risorsa produttiva” sia come “componente qualitativa” dell’ambiente (G. Urbani, Proposte per la riforma della legge e degli organi di tutela).
Al centro delle teorie di Urbani vi è la ricerca nel comprendere nella società contemporanea il senso del passato, e quindi del patrimonio culturale che ne è la rappresentazione fisica. L’Idea di tutela introdotta è caratterizzata da una forte impronta di tipo organizzativo e tecnico-scientifico da concretare attraverso programmi integrati d’intervento. Tutela attiva perché capace di realizzarsi nell’attualità e nei necessari processi di sviluppo delle società cui questi beni appartengono, trovando nell’inedita visione dell’“ecologia culturale” il mezzo per diffondere la debita responsabilità condivisa del patrimonio culturale in una logica (mai realmente attuata) di sussidiarietà verticale e orizzontale tra Stato – Enti locali – Comunità. 
Da più parti si sollecita da tempo un nuovo modello di tutela con la trasformazione della tutela oggi normata, definita passiva, strumento procedurale di tipo giuridico–amministrativo spesso ottusamente percepito quale adempimento amministrativo, come nel caso della relazione paesaggistica per i beni paesaggistici, o limitazione della creatività progettuale e dell’autonomia di utilizzo, come nel caso dei beni architettonici.
I musei, indipendentemente dal pregio e dalla rarità del patrimonio custodito, possono fornire un essenziale supporto ad ogni azione modificatrice degli assetti e degli usi del territorio, fornendo elementi di conoscenza utili a sostenere il perseguimento o la salvaguardia del pubblico interesse per la tutela di tutti i fattori identitari del territorio e delle popolazioni ivi residenti, compreso il paesaggio (DM 10/5/2001 “Atto di indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei”, Ambito VIII). Nodi di rete del museo diffuso sul territorio, ad essi è possibile affidare il ruolo di presidi territoriali per la tutela attiva nel “quadro di sistemi integrati che prevendano la partecipazione attiva dei cittadini nella gestione di un patrimonio troppo vasto per essere sostenuta dai soli enti pubblici” (Carta di Siena 2014).


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