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Quello che fu lo studio di Marco Coppetti apre le porte al pubblico

 

2410 CremoCul40 A02345678ph01 1698132668169.jpg mario coppetti il suo studio si apre al pubblicoSabato 28 l’inaugurazione, atelier e abitazione di via Chiara Novella nella rete nazionale delle Case della Memoria

Un luogo di memoria e di affetti, di arte e impegno politico e civile: sabato 28 novembre alle 16,30 sarà aperta al pubblico la casa/studio di Mario Coppetti, in via Chiara Novella.

«A lui per primo sarebbe spiaciuto che le sue opere restassero invisibili - spiega la figlia Silvia Coppetti, presidente della Fondazione intitolata allo scultore -. Aprire la sua casa e il suo studio è un modo per esaudire un suo desiderio e allo stesso tempo di mantenerne vivo il ricordo. Anche la Fondazione è nata per sua volontà, se ne era parlato con lui. Era molto affezionato alla casa, al giardino».

Così, sono state riordinate le stanze in cui Coppetti ha a lungo abitato, e con l’aiuto di Rita Bertoldi sono state sistemate le opere affastellate nel tempo. È poi c’è il cortile piantumato, odoroso di rose anche in questo inizio di autunno, un angolo di pace. Difficile, se non addirittura impossibile separare il Mario Coppetti pubblico dal Mario Coppetti privato, quindi è in qualche modo naturale se ai suoi spazi possano accedere gli appassionati d’arte e gli amici, gli antifascisti, le persone che ne hanno condiviso il percorso e - ci si augura - le nuove generazioni.

Rodolfo Bona, storico dell’arte che ha curato la mostra di Coppetti al Museo del Violino, e Adriano Rigoli, presidente dell’Associazione nazionale Case della Memoria.

Anche lo studio e l’abitazione dell’artista cremonese, infatti, rientrano nel circuito delle case «dove vissero personaggi illustri in ogni campo del sapere, dell'arte, della letteratura, della scienza, della storia e si propone di far conoscere e valorizzare queste significative dimore storiche, con la consapevolezza che non è possibile leggere le opere immortali dei grandi scrittori, ammirare i dipinti e le sculture di artisti geniali, in definitiva conoscere la storia, senza ‘incontrare’ i suoi protagonisti, il loro vissuto, il forte legame con il territorio».

Da Giovanni Boccaccio a Michelangelo, da Giovanni Pascoli a Giuseppe Diotti (il museo di Casalmaggiore), da Luciano Pavarotti a Giorgio Morandi, da Ugo Tognazzi (a Velletri) a Giuseppe Tomasi di Lampedusa sono tanti i luoghi in cui inseguire il ‘genius loci’ oppure coltivare e rinverdire la memoria di chi ha dato lustro e fama al Paese. Allo stesso Coppetti piaceva molto l’idea di abitare nella stessa casa che, in pieno Ottocento, era stata di Giovanni Chiosi, poeta risorgimentale e tra i protagonisti di una stagione storica eroica.

Coppetti, nato a Cremona il 10 novembre 2013, fin da giovanissimo - ribellandosi al regime fascista per amore della libertà e della giustizia -, rappresentò la parte migliore (e minoritaria) dell’Italia che non volle piegarsi alla dittatura a costo di sofferenze personali.

Era stato il padre ferroviere a raccontargli per primo degli ideali socialisti che per Coppetti sarebbero stati per sempre un faro: parole vive e sincere a contrastare la retorica di regime, la violenza degli squadristi, la soffocante impossibilità di ragionare in proprio. Parole che l’artista fece proprie, sempre e comunque, guidato da un’impareggiabile coerenza.

Anche dopo la guerra sarà sempre impossibile separare l’artista, l’uomo politico e l’amministratore pubblico, l’insegnante e il testimone di un’irrinunciabile scelta partigiana. Non c’era, in Coppetti, alcuna distinzione tra estetica ed etica, tra l’impegno profuso come assessore o vicesindaco e la passione con cui insegnava ai ragazzi e alle ragazze dello Scientifico. Le sue opere sono figlie di un classicismo imparato nelle aule dell’Ala Ponzone e poi perfezionato ammirando dal vivo le sculture di Auguste Rodin nell’esilio parigino. E quelle stesse opere sono figlie di un impegno civile che non è mai venuto meno: non è un caso che ancora alla vigilia della morte, il 26 aprile 2018, Coppetti stesse lavorando a un busto di Leonida Bissolati.

«Un artista che amava la libertà» è riportato sul basamento della scultura La morte bianca ospitata nel cortile dell’Aselli, appena oltre la cancellata che dà su via Palestro: ispirata alla ritirata di Russia e realizzata durante l’insensata guerra civile nella ex Jugoslavia, raffigura un soldato morente ed è di agghiacciante attualità. È un grido contro l’oscenità della guerra, un grido che l’uomo e l’artista Coppetti hanno elevato tutta la vita.

 
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