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Arezzo | Casa BruschiOpere dalla Collezione AGI, Verona

Arezzo | Casa Bruschi
COLMARE IL BOCCIOLO/COMBATTERE IL VERME/REGOLARE IL CALORE/ELUDERE IL VENTO/SFUGGIRE ALL’APE
Opere dalla Collezione AGI, Verona
A cura di Rita Selvaggio
28 giugno – 27 settembre 2015

Adel Abdessemed, Carla Accardi, Mario Airò, Carl Andre, Giorgio Andreotta Calò, Giovanni Anselmo, Francesco Arena, Stuart Arends, Stefano Arienti, Charles Avery, James Beckett, Neil Beloufa, David Bernstein, Joseph Beuys, Christian Burnoski, Sophie Calle, Isabelle Cornaro, Mark Dion, Sean Edwards, Haris Epaminonda, Franklin Evans, Lara Favaretto, Christian Flamm, Mario Garcia Torres, Alberto Garutti, Félix González-Torres, Mona Hatoum, Judith Hopf, Anna Hughes, Paolo Icaro, Anish Kapoor, Joseph Kosuth, Francesco Lo Savio, Allan Mccollum, Helen Mirra, Jonathan Monk, Adrian Paci, Giulio Paolini, Jorge Peris, Dominique Petitgand, Gerhard Richter, Markus Schinwald, Ettore Spalletti, Jessica Stockholder, Luca Trevisani, Richard Tuttle, Francesco Vezzoli

Al pari di un giardino, una collezione d’arte comporta una serie di operazioni precise e induce a riflettere sulla profonda responsabilità del fiorire e del bello. L’idea di giardino, come allegoria figurata di “collezione”, è evocata dai versi di Emily Dickinson quali metafora di un ingigantirsi di paesaggi infinitesimali che catturano l’inventiva dei visitatori.

Nella casa museo di Ivan Bruschi, le opere della collezione AGI attivano una conversazione tra differenti narrative e innescano una catena di rimandi che codifica e decodifica il sistema seriale dei criteri. Il percorso espositivo nasce dell’incontro tra una smisurata passione per l’antiquariato e gli oggetti d’arte e il vigile ed inesauribile percorso di ricerca di Giorgio Fasol. Le sue scelte sul contemporaneo, con tutto il loro bagaglio di sperimentazione, con i loro singoli universi di senso e i loro multiformi strumenti espressivi -dalla pittura alla scultura, dalla fotografia alle installazioni, al video e alla performance- connettono e intrecciano altretemporalità aprendo un inedito dialogo.

Una collezione d’arte contemporanea, sempre attenta al sostegno e alla promozione dell’arte più giovane   tra infinite altre collezioni, un continuo corto circuito non soltanto tra realtà e immaginazione, ma anche e soprattutto, tra rappresentazione e ri-rappresentazione. Quello del collezionista, dopotutto, è un “ordinare”che attraverso i discorsi degli altri costruisce proprio una nuova realtà da rappresentare.

Un nucleo rappresentativo della collezione – con le sue pratiche e i suoi discorsi sul contemporaneo-, si mimetizza tra antichità classiche, materiale lapideo di età romana, marmi pertinenti ad urne e sarcofagi, un grande altare funerario, bronzetti votivi, statuette di divinità, fibule, chiavi e serrature di età imperiale, manufatti risalenti al Paleolitico, punte di freccia, amuleti egiziani, oggetti di produzione etrusca. Gli averi di casa Bruschi includono inoltre: 4000 esemplari di monete, in oro, argento, bronzo e mistura, gioielli fenici, ceramiche medioevali, piatti istoriati, vasi da farmacia, bacini, pigne decorative, una coppia di angeli reggi cortina e una Madonna con Bambino, dipinti del 500 e del 600, un Crocifisso, la Santa Margherita da Cortona, il San Paolo Eremita in preghiera. E ancora, tavoli e tavolini, sedie, poltrone, panchetti, cassettoni, credenze, consolles, banconi, badaloni, stalli di coro, confessionali, che si succedono in un alternarsi di epoche e di stili. Avori, tessuti e costumi, un kimono cinese tardo-ottocentesco e una livrea in panno blu del secondo Settecento, una pianeta in damasco rosso con stemma cardinalizio, armi in asta e alabarde, metalli e argenti di destinazione ecclesiastica e civile, vasellame vitreo, stoviglie, piatti, posate di vario genere, utensili per la cucina, caffettiere, attrezzi agricoli, ferri da stiro, scaldini, manufatti dall’Africa, dall’America pre-colombiana e dall’Oriente, maschere rituali dell’isola di Bali, corna di rinoceronte, bruciaprofumi in bronzo, oggetti provenienti da un tempo senza fondamento: questo e molto altro popolano in conciliante addomesticamento le stanze dell’antico Palazzo del Capitano del Popolo che, a pochi metri da Piazza Grande, fu la dimora di Ivan Bruschi.

Come se ora le cavità di questa casa, con la loro ostinata interrogazione del silenzio, con le loro infinite collezioni, saperi ed esercizi, e con i loro ingombri domestici si riversassero negli spazi aperti. Cripticamente, ellitticamente, e con passo spasmodico, verso un giardino della mente.

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